domenica 30 gennaio 2011

Così allena Peterson. Il mito in palestra Ironico e divertente

Ieri ho comprato gazzetta e sportweek. C'è un bell'articolo, che a mesme penso piacerà, di Luca Chiabotti.

Palestra secondaria del Palalido, un giorno qualunque da quando Dan Peterson è tornato, dopo 24 anni, ad allenare Milano. Si entra da sotto, dagli spogliatoi della principale, come una volta: i lavori di ristrutturazione dell’impianto sono fermi e chissà quando inizieranno. Seduti nell’unica piccola balconata, dopo aver salutato molti presenti, facce conosciute invecchiate con noi, si entra nella macchina del tempo o, meglio, in una dimensione dove alcuni meccanismi diventano immortali. Stonatura Ci vuole qualche minuto per superare la sensazione di ascoltare una telecronaca e capire cosa stona coi ricordi. Peterson allena in inglese con un po’ di italiano. Ai tempi della Philips, era il contrario. Se parlare così bene la nostra lingua fu decisivo 30 anni fa, oggi è il suo americano con gli americani che fa la differenza. Altri cambiamenti? Fine. Peterson non è tornato per fare il santone e allena davvero. E’ lui che tira quando ci sono gli esercizi di rimbalzo e contropiede, è lui che spiega e mostra i movimenti e si piega mille volte a raccogliere e inseguire i palloni. Col tempo, gli assistenti avranno sempre più spazio ma dal primo giorno Giorgio Valli («Lui è come Einstein» ) e Mario Fioretti («Lui è come Spielberg» ) si dividono la preparazione delle partite. Stimoli L’allenamento è identico a 24 anni fa; stesso ritmo alto, stessi esercizi competitivi, identici stimoli psicologici. Coach è autoironico, pungente, divertente. Nella sua AJ ci sono titolari e riserve. Melli col secondo quintetto spacca in due i big? «Fermi tutti, scusate, colpa mia: ho sbagliato tutto! Ho messo il giocatore più forte della squadra con le riserve!! Lui è come Amare Stoudemire» . Psicologia spiccia? I titolari, messi sotto e punti nell’orgoglio, recuperano e vincono la partitella 16-15 con l’ultimo libero. Risultato: allenamento tirato, autostima cresciuta, per motivi apposti, nei due quintetti. La squadra è atleticamente a posto, ma se nel 1987 si arrivava a 29’ di lavoro e 1’ di pausa, oggi Peterson ha ricominciato con 8’ per volta e i giocatori hanno il fiatone. Tanto che, dopo la prova opaca con Teramo, ha deciso di ridurre di 15’ la durata delle sedute quotidiane: «Per non lasciare l’energia per la partita sul campo di allenamento» . 1-3-1 Quando insegna la 1-3-1 si capisce quanto il lavoro sulle menti sia prioritario: la zona funziona solo se i giocatori si fidano ciecamente dei compagni e si muovono senza remore. Ma non è ancora pronta. «Tre raddoppi, se riusciamo ad arrivare al terzo raddoppio gli avversari non segnano. Ve lo prometto!» urla Coach. I giocatori lo seguono e si divertono. Peterson ha cominciato a inserire qualche suo gioco semplificando gli schemi di Bucchi da poco. Il lavoro è ancora lungo perché intanto l’AJ è diversa e più forte con Greer e Eze. Richiamare un coach a 24 anni dal ritiro che ripropone gli stessi metodi può davvero avere successo oggi? I primi risultati sono positivi, le sensazioni magiche ma è presto per dirlo. Intanto, se amate la pallacanestro, e volete godervela, passate dal Palalido verso le 5 e mezza, palestra secondaria. Meglio di una partita.

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