numero dell'8 gennaio 2009 del settimanale L'espresso.
La mancanza dei valori della meritocrazia è la causa del declino della nostra economia e della spaventosa mancanza di equità della nostra società, che ha un gap tra ricchi e poveri analogo agli Stati Uniti, ma non ha la mobilità sociale americana. Siamo la società sviluppata che ha il più rapido declino economico e la maggior ineguaglianza sociale. Nel saggio Meritocrazia, ho spiegato quanto il termine sia recente, creato nel 1958 dal laburista inglese Michael Young: descrive il sistema di valori che premia l'eccellenza di un individuo indipendentemente dalla sua provenienza, che in Italia significa la famiglia di origine. Mentre le altre società moderne nel secolo scorso sono riuscite a evolvere da una economia agricola a una industriale e post-industriale, con lo Stato che sostituiva la famiglia come creatore di opportunità, la società italiana è ancora preda del 'familismo amorale', che prospera grazie all'assenza di uno Stato in grado di dare fiducia ai cittadini. Senza meritocrazia non è nata quella classe dirigente eccellente che in altri paesi è stata capace di creare opportunità per tutti i cittadini. Sono quattro le proposte per far sorgere il merito nella economia e nella società italiane. Lo tsunami economico e la spaccatura sul tema della scuola degli ultimi mesi le rendono ancora più urgenti.
Proposta 1: Una delivery unit del genere di quella creata da Tony Blair per 'consegnare' agli inglesi miglioramenti concreti e misurabili nel servizio pubblico (riduzione dei tempi d'attesa per la Tac, miglioramenti dei test scolastici, etc.), non le solite promesse elettorali sulle grandi infrastrutture. Le iniziative devono essere SMART: Specifiche, Misurabili, Achievable (realizzabili), Realistiche e Tempificabili. Ciò grazie a una task force costituita da 50 eccellenti giovani inglesi che "hanno migliorato la qualità della vita di 50 milioni di loro concittadini" secondo le parole di Michael Barber, il capo del gruppo. Meritocrazia nel settore pubblico non vuole dire 'licenziare i fannulloni' (pratica peraltro quanto mai encomiabile), ma far emergere una nuova classe dirigente eccellente nella Pubblica amministrazione. Quello che oggi manca. Il candidato per la prima 'delivery unit' italiana esiste ed è il presidente del tribunale di Torino, Mario Barbuto, che in sette anni ha ridotto drasticamente i tempi delle cause civili. Oggi a Torino il 90 per cento dei processi si chiude in meno di tre anni e il 60 in meno di un anno. Barbuto non ha messo i tornelli per i suoi 80 magistrati: ha solo dimostrato di essere un leader eccellente. Affidare a lui una task force di 50 giovani per ridurre i tempi della giustizia civile (la più lenta delle società sviluppate) permetterebbe di replicare nel resto del nostro Paese ciò che è avvenuto a Torino e iniziare a restituire agli italiani fiducia nello Stato.
Proposta 2: Un test nazionale standard per restituire equità ed eccellenza al nostro sistema educativo. In ottobre la società italiana si è spaccata in due sui tagli alla spesa della scuola e della università, ma il vero problema è la mancanza di equità e di eccellenza, non il costo. In tutte le società avanzate il sistema educativo è la leva essenziale della mobilità sociale. La società e l'economia americane hanno iniziato il vero cammino verso le pari opportunità nel 1933 a Harvard, quando il presidente di quella università, J. Conant, introdusse il SAT (Scholastic Aptitude Test) per selezionare le ammissioni. Il SAT è tutt'oggi valido a livello nazionale e consente di selezionare gli studenti da ammettere sulla base del loro merito e non dei giudizi disomogenei degli insegnanti e di dare ai migliori delle borse di studio, come nel caso di Barack Obama. Invece la scuola italiana ha fallito nel compito di azzerare i privilegi della nascita ed è profondamente iniqua: i test Pisa degli studenti italiani del Sud sono a livello di Thailandia e Uruguay, mentre quelli del Nord sono nella media Ocse. I giovani del Sud sono dunque pesantemente discriminati dalla scarsa qualità dell'insegnamento, inadeguato al difficile contesto economico locale, nonostante l'impegno di migliaia di insegnanti. Le pari opportunità si sono fermate a Roma, ma nessuno lo sa perché i voti dati dagli insegnanti sono buoni, a livello di quelli del Nord. Un sistema obiettivo di valutazione, basato su test standard ma effettuato annualmente e su tutta la popolazione, è essenziale per valutare le scuole e anche per investire i 3 miliardi di euro che la Ue mette a disposizione per migliorare l'insegnamento nelle scuole del Sud e che oggi non riusciamo a spendere. Ma oltre all'equità, nelle università manca anche l'eccellenza: non c'è un solo ateneo italiano tra i top 100 mondiali. Mancano quindi le 'fabbriche di eccellenza'. Le risorse sono oggi disperse a pioggia tra un centinaio di 'aspiranti MIT' troppo spesso diventati l'emblema del nepotismo; devono essere invece concentrate sulle università migliori, nelle quali si possa misurare obbiettivamente la qualità della ricerca e della didattica e cambiare radicalmente la governance per assicurarsi che il denaro pubblico sia ben speso. L'Italia è l'unico paese al mondo dove i rettori sono nominati dai docenti che essi devono selezionare.
Proposta 3: Una Authority per liberalizzare i servizi locali, come commercio, professioni, turismo, trasporti ecc., oggi completamente bloccati dalla mancanza di concorrenza e privi di una regulation che protegga i consumatori invece che le imprese. La devolution rende i mille enti locali facile preda delle lobby di origine famigliare e corporativa e fa sì che i Comuni restino per esempio proprietari delle aziende elettriche (dopo che lo Stato ha privatizzato l'Enel) e non abbiano però le risorse per ammodernare gli edifici scolastici. Questa authority avrebbe un potere sanzionatorio simile a quello della Ue nei confronti del governo italiano, quando quest'ultimo non applica le sue direttive. Creare più concorrenza nei servizi è essenziale perché è solo nei servizi che potremo risolvere i problemi strutturali della nostra economia, non nelle attività manifatturiere che sono il solo 20 percento del Pil. Purtroppo, la visione manifatturiera dell'economia (secondo la quale la competitività si otterrebbe esportando prodotti dalle fabbriche) sta uscendo rafforzata dallo tsunami della finanza degli ultimi mesi, che sta generando pericolosissime nostalgie di ritorno alla tradizione. Gli ultimi 25 anni hanno evidenziato un'allenza tra corporazioni di imprese, Stato e sindacato che ha bloccato la nostra economia e non le ha permesso di accumulare risorse nei momenti di crescita dell'economia mondiale per spenderle durante le congiunture negative come l'attuale. Così oggi il nostro debito pubblico ci consente solo misure risibili per affrontre la grave recessione. È necessario approfittare della crisi per liberalizzare una volta per tutte la nostra economia e risolverne i problemi strutturali, sperando che quelli congiunturali vengano attenuati dalle misure ben più importanti che altri governi stanno prendendo per l'economia globale.
Proposta 4: Un''azione positiva' simile a quella del governo norvegese per portare più donne eccellenti nei consigli di amministrazione delle società quotate (un'iniziativa in questo senso è allo studio della Borsa italiana). Le donne possono essere la vera "arma segreta della meritocrazia". Rimuovere il 'soffitto di vetro' che le tiene ai gradi più bassi delle gerarchie aziendali è nell'interesse di tutta la società. Ampie ricerche dimostrano che nel mondo dell'economia, ove la leadership è anche femminile, le imprese crescono e guadagnano di più. L'impatto di una normativa simile a quella norvegese, che prevede che i consigli siano costituiti per il 40 per cento da donne, da noi sarebbe enorme: oggi l'Italia, con il 3 per cento, è di gran lunga il fanalino di coda in Europa. Di questo 3 per cento, poi, la metà sono mogli, figlie e fidanzate dell'imprenditore di riferimento, a riprova della scarsa meritocrazia del nostro capitalismo. Questa proposta, spiegata nel libro, è stata osteggiata da diverse donne, in parte perché richiama le quote rosa della politica e in parte perché le migliori donne non amano l'idea di avere vantaggi non meritati per promuovere la meritocrazia. Oggi però si sta diffondendo la convinzione che un 'acceleratore temporaneo' sia essenziale per creare quei 'role models' di donne leader, ma anche mogli e madri, che da noi mancano.
In sintesi, mi auguro che il 2009 veda sorgere anche da noi la meritocrazia, per attaccare una volta per tutte quei privilegi nella società e nell'economia che hanno dato agli italiani una classe dirigente che non si meritano.
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