Non è Natale senza presepe. Oggi come ieri
Una vita fa
(di Rosa Barca)
«Gisella, la più piccola, faceva bizze perché voleva il presepe. Non sono valse le promesse di nuovi giocattoli, bambole, vestitini, cioccolatini – niente da fare – solo il presepe, grande, con almeno quaranta pupi». Correva l’ anno 1971 quando un amico del Tranesiere faceva i conti con i capricci della sua bambina e descriveva con cura per i lettori e il suo amico Piracci l’allestimento del presepe di casa. Ebbene sì. Non era Natale senza presepe. Indistintamente, per i più grandi e per i più piccini, quelli che oggi allo specchio hanno le sembianze dei nostri cari nonni.
Si vestono a festa, fanno a pugni con l’età, sono alle prese con le pappe degli ultimi arrivati in famiglia, ma il risultato non cambia. Il vero Natale per tutti loro si muove nel ricordo della nascita di Gesù. Intenso e quanto mai vivido era il sentimento di devozione per la natività che scoppiava con fervore a Natale e, soprattutto, il giorno della vigilia.
Molto caratteristica era, a proposito, la processione della sacra Famiglia, che si svolgeva la sera stessa del ventiquattro. Giuseppe Curci, docente di lettere in pensione, dall’alto della sua veneranda età di ottantadue anni e figlio spirituale di Padre Pio, conserva intatte le istantanee della sua infanzia, il ricordo della madre che lo teneva per mano mentre si attendeva con entusiasmo la processione al termine della novena di Natale. «Era veramente caratteristico vedere scendere dalla scalinata la Madonna, San Giuseppe e il Santo bambino, di sera, alla presenza di una massa enorme di popolo». I momenti del rito processionale e l'uscita delle statute dalla piccola chiesa di Sant'Andrea sono raccontati in una Tranesiere del 1959.
Oggi, questa processione si ripete ancora, ma, per un complesso di circostanze, non esce più dalla chiesetta di via Mario Pagano, bensì dalla chiesa di San Giuseppe, dove le immagini furono trasferite per disposizione dell’Arcivescovo Petronelli. «Quando venne istituita la parrocchia di San Giuseppe – ci spiega - la sua confraternita, che risiedeva e operava a Sant'Andrea, si trasferì nella nuova sede e portò via tutte le sue statue e gli arredi sacri». Nulla però avrebbe ostacolato l’interesse e la devozione del popolo. Sant'Andrea, però, ha conservato un vero e proprio culto per la natività del Signore: da quarant'anni si contraddistingue per l’allestimento di un presepe sempre più curato nei dettagli. Lo stesso Padre Pio, la cui statua è conservata nelle mura della chiesa, aveva una predilezione particolare per la natività. «Il Santo di Pietralcina - ci spiega l’anziano professor Curci - era innamorato della natività. Ricordo ancora le sue lacrime quando in una mia visita a San Giovanni Rotondo guardava con emozione la sacra famiglia. Una gioia infinita».
In questa prospettiva, Sant'Andrea si regala uno splendido presepe, realizzato con diligenza dai più giovani della congrega, che tra gli impegni lavorativi trovano sempre il tempo per realizzare uno dei presepi più caratteristici della nostra città. E ancora, in tema di presepi: come dimenticare quello che veniva allestito nelle stanze sottostanti la chiesa del Sacro Cuore dalle mani di Don Rossi? Don Rossi, prendeva sotto le sue braccia le sorti dei tanti piccoli orfanelli della città e insieme al loro piccolo aiuto si dedicava all’allestimento del grande presepe nella sua chiesa. Oggi di quel presepe non è rimasto che un tenero ricordo, mentre per Don Rossi, morto durante la celebrazione della messa (ed a cui è stato dedicato l’orfanotrofio vicino alla chiesa), non è mai stato iniziato il processo di santificazione nonostante i più disparati incitamenti.
«Eravamo piccoli quando mettevamo gli scarponcini ai piedi e la notte della vigilia scendevamo per le strade dove si accendevano dei grandi falò. Ci riunivamo tutti lì attorno per riscaldarci dal freddo». Altro rito di un Natale che non c'è più. Lo confermano i Tranesieri: «A sera ardono i falò, mentre al menù si aggiungeva il capitone». Nelle cucine delle nostre nonne prendono forma le ricette tipiche di questo periodo. Capitone a parte, nei forni trionfavano i dolci fatti a mano come solo mani anziane e sagge sapevano fare. «Sulle tavole dei tranesi - confermano le pagine di Piracci - compaiono per le feste natalizie anche i caratteristici dolci tranesi, le cartellate, bollite nel vino cotto e condite con mandorle tostate». Curci ricorda: «Ci mettevamo attorno al tavolo in cucina a sbirciare i preparativi dei dolci. Potevamo solo guardare. Guai, infatti, a mangiarli prima della vigilia». Su questo non si transigeva. «Noi bambini facevamo i fioretti e, anche se non avevamo nulla, bastava poco per sentirsi felici. Oggi le cose sono cambiate».
Normalmente il periodo natalizio fa superare le contingenze quotidiane della vita con quell’atmosfera di festosità e di affratellamento che la caratterizza. Talvolta l’eccessiva retorica natalizia finisce però con lo svuotare di contenuto il significato stesso della festività e rendere addirittura a loro volta passeggeri gli intimi sentimenti che invece dovrebbero rinsaldarsi. Chiamateli filantropia, solidarietà, prodigalità o carità. La sostanza è sempre la stessa. Sebbene sia insito nell’animo di ognuno di noi questo bisogno di donare, specie a chi è bisognoso, purtroppo però sono davvero tante le deviazioni che si verificano attorno a questo nobile sentimento. Nelle sue più trasgressive declinazioni diventa ostentazione, demagogia, ipocrisia. «Del Natale dei nostri tempi oggi, è rimasto ben poco», dice con lo sguardo nostalgico Giuseppe mentre appoggia sulle spalle la sciarpa scozzese. «La macchina natalizia oggi non fa che sfornare atteggiamenti consumistici, estranei a noi uomini di allora. La parola d’ordine era solidarietà fondata sulla privazione di qualcosa a noi davvero caro. Il più bel regalo era ritrovarsi insieme attorno al presepe. Niente giocattoli elettronici».
Gisella e Giuseppe erano uomini di altri tempi.
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